Diritti? La contemporaneità tra ipernormazione e analfabetismo giuridico

Che dall’osservazione di nuovi fenomeni si inneschi in qualunque legislatore l’irrefrenabile impulso di assoggettarli al proprio dominio è senz’altro fatto noto. Certo è che taluni eventi hanno – invero – una dimensione “epocale”, intesa nel suo senso più puro di spartiacque tra i vari capitoli della Storia e, di conseguenza, rappresentano un’occasione troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire. E sul punto non si può ignorare la ormai palese tendenza dell’uomo occidentale medio a dedicare maggiore attenzione al proprio “io”, al proprio orticello, che non alla “partecipazione”, come ci ricorda il sempre più dimenticato articolo 3 della nostra Costituzione, il cui eco non fa che diventare sempre più flebile.

La legislazione, saturata la dimensione pubblica del diritto, ha puntato negli ultimi anni la propria bussola dritta verso nuovi interessi meritevoli di tutela e fra questi, nella dinamica appena descritta, vi è la dimensione privata della persona, o, come si potrebbe affermare che vada di moda chiamarla oggi, “privacy”. Questa ha rivendicato un ruolo da protagonista, seppellendo sotto un cumulo di regolamenti, direttive e testi unici (sia sul piano interno che su quello sovranazionale) qualsiasi altro pretendente. A tale tematica è stata dedicata addirittura una Giornata Europea, ribattezzata “della Protezione dei Dati”, la cui celebrazione è stata fissata al 28 gennaio.

Ironicamente si tratta di un novero di diritti di cui, seppur di cruciale importanza, a malapena la metà di noi è consapevolmente titolare. Tali sono infatti i dati citati nel Report 2022/2023 sullo Stato dei Diritti Umani prodotto da Amnesty International. Numeri allarmanti certo, giacché fotografano uno scollamento sempre maggiore tra reale e percepito, ma che in un certo senso fanno anche capire come la produzione normativa abbia preso una deriva del tutto autonoma. Lo stesso rapporto ci dice inoltre che il 75% dei giovani non riesce a interpretare il significato dei termini di servizio dei vari social, per colpa in parte del linguaggio altamente tecnico e per altro verso di un approccio ricattatorio che non pone vie di mezzo tra l’utilizzo cieco di uno strumento ed il suo rifiuto totale.

Un diritto di pochi e per pochi, alla faccia della chiarezza cristallina che aveva guidato la stesura del primo codice civile moderno, quello francese del 1804: in quella occasione la possibilità per ogni cittadino di fruire e capire il diritto era assurta a caposaldo imprescindibile. Ed ecco quindi che una riflessione sorge spontanea: quanto questi “nuovi” diritti sono percepiti realmente come tali e pertanto puntellati? L’approccio a questo problema appare così complesso e così difficilmente riconducibile a vecchi schemi da far nascere una semplice domanda: siamo ancora di fronte a dei “diritti”? Una risposta in apparenza scontata, fintanto che non si decide di approfondire il seguente interrogativo: cos’è il diritto?

Ad ogni tempo i suoi problemi, ad ogni problema il suo posto nell’Olimpo del Diritto. Così verrebbe da condensare il senso di queste poche righe. Quale futuro evento catalizzerà l’attenzione è evidentemente impossibile da pronosticare – per quanto occorra prendere atto che l’Intelligenza Artificiale stia presentando una candidatura piuttosto seria –, ma quel che è certo è che assisteremo a tutto ciò sereni e sicuri che la nostra privacy sarà in una botte di ferro. Almeno finché a qualcuno interesserà che rimanga tale e fintanto che le nostre vite potranno essere condensate ed espresse in bit: insomma fino a quando rimarranno virtualmente private.

Luca Manieri