Cercando nell’Ombra l’avversario e noi stessi

da Il Sole 24 Ore – 7 luglio 2024 – di Gianfranco Ravasi.

In questo articolo il Cardinal Ravasi commenta I volti dell’Avversario di Roberto Esposito, in cui l’autore rilegge le pagine in cui Giacobbe si scontra con un essere misterioso: è il messaggero divino o il demone o un nemico collettivo. Esaù è l’archetipo di Edom, nazione nemica d’Israele.

È suggestivo il recente affacciarsi sul testo biblico da parte di pensatori “laici” con sguardi di grande originalità e creatività: a titolo esemplificativo, citiamo solo La Legge della Parola di Massimo Recalcati (Einaudi 2022), del quale abbiamo scritto su queste pagine, il potente e coinvolgente Parlare con Dio di Umberto Curi (Bollati Boringhieri 2024), qui presentato da Francesca Rigotti, e infine I volti dell’Avversario di Roberto Esposito della Normale di Pisa, che ora ci offre lo spunto per l’evocazione di una straordinaria ed enigmatica pagina biblica del libro della Genesi (32,23-33). In essa il patriarca Giacobbe si scontra con un essere misterioso in una sorta di duello notturno lungo le rive di un affluente del Giordano, lo Iabboq.

Senza entrare nel merito della complessa esegesi del passo, soprattutto nel suo valore globale finale – per altro riletto in chiave mistica come parabola dell’incontro e del dialogo con Dio dalla stessa Bibbia (Osea 12,4-5; Sapienza 10,12) – segnaliamo solo la filigrana eziologica del testo elaborata forse con materiali arcaici. Un primo dato dal sapore mitico è quello dello spirito o del demone che impedisce il passaggio del fiume. Potrebbe essere un ricordo leggendario locale trasfigurato, connesso al «fiume blu» (tale è il valore del toponimo Iabboq), al suo «spirito» o demone, cioè alla difficoltà della sua traversata. Giacobbe combatte contro questo dio del fiume che col suo tocco magico lo blocca ferendolo, ma la vittoria, a prima vista, sembra arridere all’uomo che gli ghermisce una benedizione, una forza vitale. Si pensi un po’ anche alla leggenda cristiana di san Cristoforo o al motivo del demone potente solo di notte che all’aurora perde la sua forza, un soggetto presente anche nell’Anfitrione di Plauto o nell’atto I dell’Amleto shakespeariano.

A questo elemento folclorico dobbiamo aggiungerne un altro evidente, quello della prescrizione alimentare – per altro ignota al resto dell’Antico Testamento – che vieta di cibarsi di una parte di carne contenente il nervo sciatico: Giacobbe, infatti, esce dalla lotta zoppicante. È noto che sono varie queste regole sacrali, spesso di matrice ancestrale, che proibiscono l’ingresso sulla tavola di alcune pietanze. Forse sarebbe un’aggiunta che cercherebbe di giustificare una prassi alimentare giudaica antica: la slogatura al femore di Giacobbe sarebbe, quindi, l’eziologia simbolica di questa consuetudine.

C’è, poi, un’altra evidente eziologia, quella del nome geografico Penuel, «volto di Dio», ove si svolge la lotta: «Ho visto Dio faccia a faccia» (v. 31), afferma Giacobbe. C’è anche un ulteriore rimando archetipico, quello del nome del popolo ebraico, Israele, nome acquisito durante il duello. Esso viene popolarmente interpretato come un «contendere con Dio»: «Hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto» (v. 29). In realtà, il significato genuino filologico è incerto: «Dio sincero, splende, salva, regna, combatte», oppure «che Dio combatta!» o altro ancora.

A questo punto ritorniamo all’affascinante saggio di Esposito, frutto di un’impressionante ricerca anche di Wirkungsgeschichte, ossia di storia degli effetti letterari e artistici generati dalla pagina biblica. Il suo è un palinsesto fittissimo di autori coinvolti nei temi sollecitati da quella narrazione: si provi a seguire la sezione finale intitolata «glosse» in cui lo studioso convoca una dozzina di scrittori, pensatori, storici, tutti protesi verso la rilettura del protagonista misterioso del racconto. Importante è, perciò, anche l’ampia premessa ermeneutica che giustifica questa sistematica filigrana di interpreti. Il Narratore, infatti, interpella il Lettore, Scrittura e Lettura si incrociano, il dato oggettivo storico-critico “informativo” si espande nella dimensione soggettiva “performativa”.

Con questa griglia che comprende anche l’iconografia artistica (più del Delacroix di St. Sulpice di Parigi, emozionante è l’olio su tela di Gauguin delle National Galleries of Scotland di Edimburgo adottato per la copertina), Esposito fa scorrere in una sequenza di veri e propri ritratti una tetrade di identificazioni dell’Essere misterioso che in quella notte ingaggia il duello (tema letto alla luce del poemetto Duellum di Baudelaire) con Giacobbe. È un esercizio che da sempre ha coinvolto i lettori, a partire dal midrash giudaico che curiosamente intuiva in quel personaggio nientemeno che lo spirito del fratello tradito Esaù che svela a Giobbe non solo la colpa perpetrata sottraendogli la primogenitura (Genesi 27), ma anche la freddezza nei confronti della moglie Lia e l’eccessiva predilezione per il figlio Giuseppe.

Nel testo ebraico della Genesi è semplicemente un ’ish, un “uomo”, ma la tradizione ha sciolto l’ambiguità profilandolo come un angelo, che è il messaggero divino, anzi, «l’esteriorità di Dio», una modalità figurale per salvarne la trascendenza. All’antipodo, ecco la seconda identificazione quella del demone (o del dio del fiume a cui sopra accennavamo), che Esposito legge attraverso lo sguardo di Thomas Mann nel suo Giuseppe e i suoi fratelli, figura oscillante tra molteplici fisionomie (dio, demone, uomo, animale). Terza decrittazione è quella dell’Avversario che può essere collettivo: Esaù, infatti, è l’archetipo di Edom, la nazione nemica d’Israele.

Infine, l’ultimo volto ipotizzato per quell’’ish è il più sfuggente: è l’Ombra, ossia l’alter ego dello stesso Giacobbe, secondo una prospettiva psicoanalitica basata sul “processo di individuazione” junghiano. Ancora una volta, attraverso questo bellissimo saggio, si scopre la continua fecondità di quell’«alfabeto colorato» (M. Chagall) che è la pagina biblica.