La crisi del libro

Leggere un libro è importante perché è una finestra sul mondo. Dona al lettore argomenti per il suo confronto con la vita”. Parola del grande scrittore cileno Luis Sepúlveda. La pandemia, purtroppo, non solo gli è costata la vita, ma sta colpendo anche ciò a cui ha dedicato la sua intera esistenza: i libri e la lettura.

L’Aie – Associazione italiana editori – sta monitorando gli effetti della crisi su tutta la filiera e ciò che se ne evince è che sarà un’onda lunga quella dettata dal Coronavirus. Per dirla con i numeri, a fine 2020 si stimano 18.600 opere in meno pubblicate; 39,3 milioni di copie in meno stampate e confezionate; 2.500 titoli in meno tradotti. Un impatto devastante che può provocare un danno culturale gravissimo sull’intero Paese.

L’ultima legge sul libro – entrata in vigore in piena pandemia – si era proposta come un piano per la promozione e l’accessibilità della lettura, intesa come strumento strategico per la coesione sociale. Una crisi di tale portata invece rappresenta un colpo per la diversità culturale, il pluralismo, e un rischio di desertificazione culturale soprattutto nelle aree più deboli del Paese.

Lo scorso novembre, proprio nell’ambito di Bookcity, la manifestazione dedicata al libro e alla lettura, il Cardinal Ravasi aveva parlato del valore della parola e di come la diffusione della cultura passi molto attraverso i canali tradizionali dell’accademia, della scuola e quindi dello studio e del libro. Ma pur comprendendo bene da dove arrivi il patrimonio culturale che siamo chiamati a custodire, una delle domande più interessanti che si poneva era come tramandarlo alle nuove generazioni, che hanno a che fare con linguaggi e strumenti diversi rispetto al passato. E ben venga il progresso tecnologico, ma probabilmente da solo non basta. Sarà sempre necessario un bagaglio umanistico e linguistico in un’epoca in cui la parola è spesso aggressiva, superficiale, contestualizzata in un ambito digitale che sposa l’immediatezza a danno della profondità.

E sarà proprio quel bagaglio, alimentato in primis dalla lettura, a consentirci di distinguere il vero dal falso, di riconoscere il corretto dall’errato, di separare la forma dal contenuto, di comprendere visioni differenti e di confrontarci con gli altri, senza mai pretendere che i nostri assiomi siano gli unici veri e possibili.