Gli scienziati alla corte dei Papi

da Il Sole 24 Ore – 29 settembre 2024 – di Gianfranco Ravasi.

In questo articolo il Cardinal Ravasi pone la sua attenzione sull’analisi condotta da Agostino Paravicini Bagliani su medicina e scienze della natura, con un focus sulla teoria della «prolongatio vitae» intrecciata alle ricerche mediche che si svolgevano nella curia di Bonifacio VIII.

Oscillare tra l’acribia più minuziosa su pergamene e carte e il volteggiare nei cieli delle leggende o nel paradiso dei simboli: se si scorre la bibliografia di Agostino Paravicini Bagliani, docente medievista per quasi un trentennio all’università di Losanna, si è un po’ catturati da questa duplice vertigine. Così, ad esempio, in quasi 900 pagine egli, da un lato, selezionava «cent’anni di bibliografia (1975-2009)» sul papato del Duecento ma, d’altro lato, si consacrava in due tomi alla papessa Giovanna e alle sue leggende o si avventurava nello zoo simbolico del «Bestiario del papa», testi che – lo confessiamo – ci hanno incuriosito al punto tale da crearne un’eco su queste pagine.

Ci siamo, allora, lasciati attrarre anche questa volta da una sua (sempre imponente e rigorosa nella documentazione) raccolta di saggi, riproposti in una nuova edizione da quel Sismel (Società internazionale per lo studio del Medioevo Latino) di cui egli è presidente dal 2008. Siamo ancora nel Duecento e veniamo condotti nella corte dei papi, ove lo studioso ci fa da guida più che autorizzata, questa volta alla scoperta della medicina e delle scienze della natura là coltivate. Non si deve dimenticare che lo studioso in passato si era dedicato a svelare la simbologia ma anche la fisicità che ruotava attorno al «corpo del papa» (tale è il titolo di un suo volume del 1994). Anzi, aveva ristretto il suo esame sul «corpo, i gesti e le immagini da Innocenzo III a Bonifacio VIII», come titolava un altro suo saggio in francese del 2020.

Con questi pontefici (sono 18, e con Bonifacio VIII ci affacciamo agli esordi del secolo successivo) siamo proprio nell’arco preso ora in considerazione, il Duecento. È soprattutto con papa Caetani, successore del dimissionario Celestino V e oggetto degli strali danteschi, che la cura corporis acquista un valore particolare: non per nulla un saggio specifico all’interno della raccolta è riservato proprio alla «medicina e scienze della natura alla corte di Bonifacio VIII». Anzi, in un altro studio Paravicini Bagliani cerca di intrecciare la teoria sulla prolongatio vitae, sviluppata dal filosofo e scienziato inglese Ruggero Bacone (ca. 1214-1292), una novità assoluta nella letteratura scientifica medievale, con le ricerche mediche che si svolgevano nella curia di quel papa. In essa il medico Arnaldo da Villanova esaltava l’assunzione dell’oro per la rigenerazione e il ringiovanimento fisico, oltre che per la terapia di varie sindromi.

Considerando la qualità di silloge del volume, l’arco dei temi è molto variegato e non si sofferma solo sul mito della prolongatio vitae, che aveva come riferimento scientifico il trattato De retardatione accidentium senectutis attribuito al citato Ruggero Bacone, a cui è riservata un’analisi specifica. Interessanti, ad esempio, tra i vari soggetti sono le ricerche sull’ottica. A dominare in questo ambito è un poco noto Witelo, originario della Slesia, autore della Perspectiva, «una vera enciclopedia ottica medievale», composta da questo fisico e matematico mentre era ospite della corte pontificia a Viterbo, che spesso aveva la residenza in questa città. Tra l’altro, Giovanni XXI (Pietro Ispano), appassionato di studi medici, aveva composto un trattato De Oculo, prima di accedere per pochi mesi al soglio pontificio nel 1276-77.

Con Witelo ebbe rapporti intensi un’altra figura di rilievo, il vescovo curiale domenicano fiammingo Guglielmo de Moerbeke, al quale lo scienziato “oftalmico” dedicherà la citata Perspectiva. Costui fu un appassionato traduttore dei classici greci, non solo di Aristotele (su incarico di san Tommaso d’Aquino di cui era amico) ma anche di Proclo e di altri scritti di matematica e medicina attingendo alla biblioteca di Bonifacio VIII. Scorrendo molto liberamente la sequenza dei saggi di Paravicini Bagliani presenti in questo volume, incuriosisce l’ingresso della cultura e della scienza araba nella Roma pontificia del Duecento, un ambiente cosmopolita anche per la presenza di ecclesiastici stranieri e di ambasciatori.

Da affrontare, in questo caso, è innanzitutto la questione delle traduzioni negli uffici curiali di allora. Forse con un po’ di fantasia il famoso Raimondo Lullo, uomo del dialogo interreligioso, nel suo romanzo politico-spirituale La Blanquerna (1285) immaginava che il papa avesse a disposizione un segretario per la lingua araba. Certo è che il medico Simone da Genova, presente nell’organico della corte per elaborare la sua Clavis sanationis, attingeva ampiamente alla scienza araba e alla relativa trattatistica medica. Similmente emergono altre figure curiali, come Filippo Tripolitano, capaci di rivelare la vivacità e l’apertura di interessi che i pontefici e la loro cerchia attestavano affacciandosi anche sul mondo arabo.

Tanto altro si può scoprire in questa raccolta di studi, simile a uno scrigno ove impressiona la ricchezza della documentazione e del relativo vaglio critico. Si può, ad esempio, spaziare dall’orizzonte fluido degli scambi culturali e scientifici tra Federico II e la corte papale (tra loro non proprio in armonia a livello politico) fino alle ricette mediche e ai sanitari che le vergavano sotto i vari pontefici del Duecento. È l’attestazione di una decennale ricerca che apre le porte del palazzo papale, ove si muoveva un vero e proprio microcosmo non solo sacrale.

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