I canti della Sinagoga e l’identità ebraica

da Il Sole 24 Ore – 8 settembre 2024 – di Gianfranco Ravasi.

In questo articolo il Cardinal Ravasi ci parla di come, in un momento storico complicato e drammatico, alcuni testi sono d’aiuto per comprendere e avvicinarci a storie, memorie e personaggi protagonisti di una vicenda storica lunga secoli.

In un periodo nel quale è arduo parlare dell’attuale Israele politico, è giunta nelle librerie una fioritura di testi sull’ebraismo culturale la cui fecondità ha certamente la sua matrice nella Bibbia, ma che si allarga lungo traiettorie ulteriori. Quella che ora proponiamo sarà solo una semplice evocazione di titoli e temi, che però vuole essere uno stimolo a percorrere alcuni itinerari conoscitivi. L’avvio è affidato a una sorta di classico dell’antico giudaismo, i Pirqè Avot, i «capitoli dei Padri», un trattato del II-III secolo: da questa raccolta un raffinato studioso della comunità monastica di Bose, Alberto Mello, estrae i detti di rabbì Natan, un maestro babilonese che attingeva agli asserti di altri Padri e li elaborava e commentava.

Il titolo I Padri del mondo (Qiqajon, pagg. 246, € 24) rimanda ai tre patriarchi primordiali Abramo, Isacco e Giacobbe, coloro che hanno introdotto nella storia la presenza divina (Shekinà). Il messaggio, distribuito in una quarantina di capitoletti, dischiude un colorato ventaglio di temi morali e spirituali, nella convinzione che il mondo si regga su tre pilastri: la Legge (Torah), il culto e le opere di misericordia. La religione non dev’essere alienazione dall’impegno storico: «Se hai in mano una pianta e ti dicono che è arrivato il messia, va’ prima a piantare la pianta e dopo esci ad accoglierlo». Un aforisma accolto anche da Lutero che liberamente identificò quell’albero in un melo.

Molto delicato per le sue ridondanze che vanno oltre il perimetro biblico è il soggetto che dà il titolo alla riedizione di un saggio composto da uno dei maggiori studiosi cattolici dell’ebraismo, Pierre Lenhardt (1927-2019), La terra di Israele e il suo significato per i cristiani (Morcelliana, pagg. 98, € 10). Categoria capitale nelle Scritture ebraiche, essa rivela molte variazioni semantiche che appartengono a statuti diversi, soprattutto nelle successive applicazioni anche politiche, e che entrano nel cristianesimo con una indubbia reinterpretazione: basti pensare alla beatitudine evangelica dei «miti che erediteranno la terra» (Matteo 5,5). Una questione complessa che è ripresa nel confronto allegato tra lo stesso Lenhardt e un esperto del dialogo ebraico-cristiano Massimo Giuliani.

Un’opera a grande respiro, capace di coprire in modo suggestivo un intero arco, è la Storia culturale degli ebrei a due voci, con un teologo cattolico specialista nell’ambito dell’ebraismo, Piero Stefani, e l’ebreo David Assael che collabora a giornali e a trasmissioni (il Mulino, pagg. 336, € 26). La trama, che abbraccia una trentina di secoli si apre naturalmente con la Torah, scritta simbolicamente dal dito di Dio e dalla mano di Mosè, e si allarga all’orizzonte degli apocrifi, soprattutto apocalittici, per procedere poi nella contaminazione creativa della Diaspora giudeo-ellenistica che ha uno snodo decisivo nella versione greca della Bibbia detta “dei Settanta” ad Alessandria d’Egitto. Forse un po’ sbrigativo è l’incrocio con Gesù di Nazareth, a cui subentra un capitolo rilevante come quello della letteratura rabbinica con la sua efflorescenza dialettica, giuridica e mistica.

Bussa, poi, alla porta della sinagoga la modernità scandita dalla data del 1492, legata a un evento dagli esiti inattesi e drammatici, il gherush, l’espulsione degli ebrei dalla Spagna che incise profondamente nel volto stesso del giudaismo: si pensi solo al ghetto, al revival messianico e alla mistica cabbalistica. Da quella svolta si succedono tutte le tappe comuni al mondo europeo, dall’Illuminismo e dall’emancipazione ai vari totalitarismi fino all’Israele attuale, a partire dal 15 maggio 1948 con la dichiarazione di indipendenza dello Stato ebraico, approdando fino al controverso governo Netanyahu. L’approccio adottato è, comunque, di taglio tendenzialmente culturale cercando quindi di isolare l’identità specifica e l’incidenza universale di una storia complessa lunga trenta secoli.

Una tappa sempre sanguinante di questa vicenda secolare è quella nata dal grumo oscuro e terrificante della Shoah. Dopo Auschwitz anche la teologia cristiana e non solo quella ebraica ha allargato un sentiero che già il libro di Giobbe aveva tracciato. Sono, così, emerse alcune figure, una fra tutte Elie Wiesel e, per certi versi, Emmanuel Lévinas e, nell’orizzonte artistico, Marc Chagall. Lo storico delle religioni Marcello Massenzio (Maestri erranti. Il rinnovamento della cultura ebraica dopo la Shoah, Einaudi, pagg. pp. VIII – 160, € 19) fa salire sulla ribalta un misterioso e sconcertante personaggio, maestro delle stesse figure appena evocate, Mordechai Chouchani, la cui biografia è avvolta da un velo mitico.

Confesso che è stata anche per me una scoperta assoluta: la sua esperienza di maestro itinerante, incarnava – come sosteneva Wiesel – l’archetipo fantasioso dell’Ebreo errante. Com’è noto, costui avrebbe scacciato malamente Gesù che si era appoggiato per respirare, mentre procedeva lungo la via verso il Golgota. A lui, di nome Assuero, il Cristo sofferente avrebbe annunciato: «Io mi fermerò e riposerò, ma tu camminerai». E da allora la leggenda medievale vuole che quell’ebreo sarebbe divenuto l’emblema del vagabondare incessante dell’ebreo, rielaborato però in senso positivo dal sapiente pellegrino Chouchani.

Concludiamo questo piccolo viaggio bibliografico nel mondo dell’ebraismo entrando idealmente nella nota sinagoga sul Lungotevere per ascoltare i Canti del tempio maggiore di Roma (Gangemi, pagg. 238, s.i.p.). Pasquale Troìa, in questo che è un secondo tomo dedicato a un tema molto suggestivo, offre un’imponente documentazione, frutto di una ricerca vertiginosa che spazia dai protagonisti cantori, coristi e maestri al repertorio dei canti, fino all’organo che accompagna i ritmi e a tanti segreti persino lessicali, come le espressioni idiomatiche giudaico-romanesche sbocciate dalla tefillah, il canto orante, aggiungendo anche un album fotografico di memorie.