Gli italiani detenuti all’estero e la speranza di un carcere più umano

In questo momento oltre duemila cittadini italiani (2.069 per l’esattezza) stanno scontando una pena in un carcere di un paese straniero. Di questi, 1.471 sono incarcerati in paesi appartenenti all’Unione Europea, 231 in paesi europei che non fanno parte dell’Unione e 367 in paesi di altri continenti. Questi dati statistici provengono dal censimento compiuto nel 2021 dal DGIT, il Dipartimento del Ministero degli Affari Esteri che si occupa degli italiani all’estero. Secondo uno studio più recente dell’OSAP, Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria, il numero complessivo di detenuti all’estero è salito a 2.663 nel 2024.

Scontare una pena all’estero solleva una serie di problematiche che rendono la detenzione ancora più dura. Oltre alle naturali barriere linguistiche, c’è una maggiore difficoltà di comprensione della legislazione locale, alla quale si accompagna la mancanza di un gratuito patrocinio e il rischio di rimanere vittime di discriminazioni. Quest’ultima problematica dipende dal tipo di reato commesso e dal paese in cui si viene reclusi. In diversi paesi, infatti, gli italiani soffrono di stereotipi radicati negli anni.

Tra i casi più celebri passati alla cronaca c’è quello di Ilaria Salis, maestra delle elementari e attivista che è stata arrestata in attesa di giudizio nel febbraio 2023 per aver causato “lesioni che potevano pregiudicare la vita” di tre militanti dell’estrema destra ungherese. L’attivista milanese si era recata in Ungheria per protestare contro le celebrazioni del Giorno dell’Onore, ricorrenza in memoria della resistenza tedesca e ungherese durante l’assedio di Budapest dell’Armata Rossa nel 1945.

Dopo la temporanea carcerazione e la detenzione agli arresti domiciliari, il caso Salis si è concluso con la liberazione dell’imputata. A salvare la maestra italiana è stato l’intervento del partito Alleanza Verdi e Sinistra, che ha fatto eleggere la Salis come eurodeputata per assicurarle l’immunità parlamentare evitandole così la reclusione.

Nel maggio 2024, è passata alla cronaca la condanna di Filippo Mosca, un ragazzo recluso in Romania per spaccio internazionale. «Mi sono sentita tanto abbandonata dalle istituzioni» ha recentemente affermato la madre di Mosca, dopo aver già denunciato per mesi le pessime condizioni e i maltrattamenti a cui è stato sottoposto il figlio nelle carceri rumene.

Tra le vicende più famose ci sono quelle di Chico Forti, un ex velista e produttore televisivo condannato nel 2000 all’ergastolo per un omicidio consumato due anni prima negli Stati Uniti. Per più di due decenni Forti ha scontato la pena in Florida, fino al maggio 2024, quando è stato trasferito nelle carceri italiane.

Quello di Forti è un caso controverso, soprattutto a causa dell’accoglienza delle istituzioni politiche all’arrivo in Italia, giudicata da alcuni troppo calorosa per un condannato omicida. Tuttavia, c’è chi vede l’ex velista come una vittima di un processo ingiusto. Forti è stato infatti condannato quando a carico suo sono stati trovati solo indizi e non prove: sul luogo del delitto non sono state trovate impronte, il test del Dna è risultato negativo, non ci sono né testimoni né un movente valido e la pistola non è mai stata trovata. Se non si può parlare dell’innocenza con assoluta certezza, si può dire che ci sono molti dubbi sulla colpevolezza del detenuto italiano.

Il cristianesimo è una religione di perdono, pace e speranza, e Papa Francesco si è speso molte volte per difendere la dignità umana dei carcerati. Il Pontefice ha già dichiarato di voler aprire una Porta santa in un carcere per il Giubileo 2025. «Penso ai detenuti che, privi della libertà, sperimentano ogni giorno, oltre alla durezza della reclusione, il vuoto affettivo, le restrizioni imposte e, in non pochi casi, la mancanza di rispetto. Propongo ai governi che nell’Anno del Giubileo si assumano iniziative che restituiscano speranza; forme di amnistia o di condono della pena volte ad aiutare le persone a recuperare fiducia in sé stesse e nella società; percorsi di reinserimento nella comunità a cui corrisponda un concreto impegno nell’osservanza delle leggi».